"Sono fortunato. Tutto qua."
di Alessandro Vivalda
Ho riflettuto molto sulla breve esperienza vissuta in Etiopia ed una cascata di emozioni non mi permetteva di focalizzare la sensazione rimasta che ha lasciato un segno indelebile.
Sono fortunato. Tutto qua.
Potevo nascere in uno dei tanti Paesi poveri del mondo, dove regna la carestia o c’è una guerra, invece no, sono nato a Cuneo, da una famiglia che mi ha cresciuto con amore, mi ha dato la possibilità di studiare e mi è stata vicino nell’approccio del mondo del lavoro. Il destino ha voluto così, mi sono state date delle possibilità ed io le ho colte.
Quando vedi i bambini etiopi ti chiedi se loro avranno mai delle possibilità, cercano di sopravvivere e se ci riusciranno sarà già un successo.
Vivere l’esperienza del volontariato ti permette di entrare nell’intimità della vita delle persone e respirare il vissuto di un popolo che soffre... dopo questo nulla sarà più come prima... Visitare le scuole, le strutture di prima accoglienza per i bambini abbandonati e anche gli ospedali. Già... gli ospedali. Ho visto quello di Soddo. Anche qui ti ritieni fortunato, in primis perché sei sano e poi perché se ti ammali hai delle strutture che ti curano e persone specializzate che ti stanno vicino. In Etiopia se hai la sfortuna di ammalarti (non patologie particolari ma infezioni o fratture anche banali dal nostro punto di vista) inizia un percorso drammatico in stanze fatiscenti, senza acqua corrente e spesso senza la luce, sempre che tu abbia i soldi per permetterti tutto questo, altrimenti vieni abbandonato a te stesso e sei in mano alla Provvidenza.
Trascorrere due settimane ad Areka mi ha insegnato che l’aiuto è fatto di piccoli gesti, come costruire un canestro e giocare con i bambini i quali poi ti ringraziano per la giornata trascorsa insieme, aiutare a spostare un mobile, lubrificare porte e finestre, accompagnare i ragazzi a scuola, andare a Messa la domenica, guardare un film tutti insieme e decine di altri episodi quotidiani... momenti di vita vissuta!
Questo, mentre adempivo al mio compito di sistemare le medicine nella piccola infermeria del Centro. Non potrei definirlo una lavoro, è stato divertente. I bimbi facevano a gara per aiutarmi ed è stata una grande soddisfazione vedere tutto pulito ed ordinato facilitando così il lavoro delle infermiere. Ma venire ad Areka ti insegna una cosa che ormai abbiamo dimenticato, quella di apprezzare le cose semplici: schiacciare l’interruttore ed accendere la luce, aprire il rubinetto ed avere acqua, mangiare regolarmente tutti i giorni.
Grazie a voi del CAE che avete permesso a me, mia moglie Cristina, Claudia e Maurizio di vivere tutto questo!!
Ci impegneremo a continuare anche dall’Italia il lavoro del CAE con l’obiettivo di leggere ancora speranza negli occhi dei bambini. Perché se la leggiamo nei loro occhi, la troveremo anche nel nostro cuore.
Ameseghenallo Etiopia per le emozioni vissute.
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